Antifragilità è saper migliorare quando le cose peggiorano.
Sembra quasi un paradosso, ma lo abbiamo sperimentato proprio sulla nostra pelle!

Antifragilità: cosa vuol dire essere antifragili?

Come questo concetto può essere calato all’interno di un’azienda o di un team in modo da creare un sistema in grado non solo di resistere, ma di migliorare sotto stress?

Un valido aiuto ce lo forniscono questi libri:

[1] Nassim Nicholas Taleb, Antifragile. Prosperare nel disordine. Il Saggiatore, 2013 (ed. originale 2012)

[2] Nassim Nicholas Taleb, Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita. Il Saggiatore, 2014 (ed. originale 2007)

Ma per capire l’antifragilità  è utile cominciare dalle definizioni.

Fragile e robusto

Se tutti abbiamo più o meno chiaro il concetto di fragile, spesso cadiamo in errore quando cerchiamo di definirne l’opposto. Usiamo la parola Robusto.

Normalmente siamo infatti abituati a considerare fragile e robusto due concetti antitetici fra loro: ciò che è fragile è delicato e rischia di rompersi, viceversa ciò che è robusto e forte è qualcosa che è fatto per resistere e non rompersi.

In realtà questa assunzione è errata, sia perché i due concetti non sono antitetici in senso stretto, sia perché ciò che robusto può essere fragile se si cambia prospettiva.

Robusto non è l’opposto di fragile

Per prima cosa vediamo come mai non è corretto contrapporre i concetti di fragile e robusto.

Un oggetto fragile “trae beneficio” dall’essere maneggiato con cura. Ad essere precisi — e come vedremo più avanti — “trae beneficio” non è proprio corretta come espressione; diciamo che un oggetto fragile, se maneggiato con la dovuta attenzione, non subisce danni e non si rompe; quindi, se tutto va bene, al massimo resta come prima.

Un oggetto robusto invece è del tutto indifferente a come viene trattato, maneggiato, scosso.

Quindi, da un punto di vista strettamente logico, robusto e fragile non sono due concetti perfettamente antitetici. Ma non è finita qui.

Dire Robusto non è abbastanza

Se pensiamo ad una casa possiamo certamente pensare che si tratti di una costruzione robusta, stabile, forte; una casa fatta per accogliere delle persone e per resistere alle intemperie.

Quello che pensiamo robusto, però, diventa fragile se sottoposto a forze che superano un certo limite.

Cosa succede se la casa viene abbandonata dai suoi abitanti e nessuno se ne prende cura per anni?

Ci sono poi elementi ulteriori che entrano nella nostra definizione di “robusto”: ciò che oggi effettivamente lo è, potrebbe non esserlo più con il passare del tempo.

La robustezza è anche una caratteristica legata al tempo con il quale la si misura.

Robustezza in prospettiva

Quindi robusto non è un termine assoluto ma è funzione del tipo di stress cui un oggetto è sottoposto; ogni sistema che valutiamo robusto può quindi, in un attimo, diventare fragile.

Spostando quindi la nostra attenzione ai modelli organizzativi e sociali che si pongono l’obiettivo di resistere meglio alle fonti di stress che le circondano, la robustezza non è quello che fa per noi.

Antifragilità: un ulteriore passo in avanti

Noi stiamo cercando qualcosa che sappia addirittura avvantaggiarsi dei momenti di difficoltà, dell’incertezza, delle perturbazioni non solo per resistere, ma per migliorare. Stiamo quindi cercando ciò che Taleb definisce come “antifragile”.

Come fare?

  • Non chiudersi in una gabbia dorata: evitare di iper-proteggere il sistema indebolendo la sua capacità di rispondere a eventi imprevisti e critici.
  • Accogliere l’incertezza: allenare il sistema a reagire agli imprevisti.
  • Sperimentare – inspect & adapt: preferire strategie basate sulla sperimentazione, tramite tentativi e miglioramenti. Accogliere il fallimento come veicolo di informazioni e come strumento di crescita.
  • Evitare l’approccio “so io come si fa”: mettere in discussione le soluzioni calate dall’alto e la voce degli esperti. Non è scontato che soluzioni dimostratesi efficaci in passato siano ancora applicabili con successo nel presente o nel futuro.
  • Evitare le soluzioni deterministiche calate dall’alto: evitare di agire secondo regole e schemi predefiniti. I cambiamenti in atto richiedono flessibilità e convergenza tra le iniziative, le esperienze e le necessità. Stimolare un approccio sperimentale.
  • Aumentare la ridondanza adattativa: non limitarsi a replicare la stessa soluzione di un sistema, ma provare strategie differenti, concorrenti, alternative.
  • Promuovere la cultura della collaborazione: definizione e condivisione di obiettivi comuni. Approcci orientati alla co-creazione. Evoluzione delle gerarchie.